Pranzammo a Bertinoro in un chiosco colorato di arancio: tortelli burro e salvia e scaloppine al limone.
Mentre mangiavamo, non ricordo perché, parlammo di Paolo e Francesca, simbolo dell’umana fragilità, di come fu la lettura di un libro — in cui si narra del fatale bacio fra Lancillotto e Ginevra — a scatenare la loro passione.
Sulla tavola c’era una bottiglia di vino con un’etichetta stranissima e una scritta a mano poco chiara di cui si riconosceva “Pieve di San Donato in Polenta”.
“Francesca da Polenta!» ripetè per due volte il mio amico Guido.
«È proprio di qui, di Bertinoro… e la pieve di cui si dice nell’etichetta venne cantata anche da Giosuè Carducci. Andiamoci dopo, il panorama sulla valle è splendido…»
Ricomparve allora la cameriera con un cestino di pane e un’altra stramba bottiglia di vino rosso che finimmo a forza di chiacchierare.
Si unì poi alla discussione anche un vecchio signore di un tavolo vicino. Conosceva bene la storia di Francesca da Polenta, “donna fuori dal comune, lettrice appassionata” dotata di forte intuito anche per argomenti solitamente maschili.
«Andata in sposa, per motivi di casato, a Giovanni Malatesta, Francesca si ritrovò a sedici anni moglie di un uomo di potere non solo brutto, ma anche — e soprattutto — privo di cultura. È così che l’incontro con Paolo, il fratello del marito, aprì la strada alla triste storia che li vede relegati nell’Inferno di Dante, tra i lussuriosi…»